le altre poesie in concorso 2019

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“Chìdde addèur de vòlt” di Lombardo Antonio

Un vero e proprio “Amarcord”, un tuffo nel passato, riportato con nostalgia. L’autore infatti nel ricordare “le tìmbe de prème” mette in evidenza due aspetti a lui molto cari: la semplicità della gente e la buona cucina; le strade erano invase dagli odori che provenivano dalle case e dai sottani così intensi che si riusciva a gustare le pietanze prima ancora di assaporarle.

QUELLI ODORI DI UNA VOLTA

Quanti ricordi mi passano per la testa, quelli odori di una volta si mischiavano nell’aria e per le strade, anche se gli odori erano diversi il gusto ti veniva lo stesso.

Ai tempi andati anche le persone si volevano bene di piu’ e quando passavi d’avanti ai sottani (abitazioni), si sentiva l’odore della cucina.

Di quei tempi, ci sono tante cose che si possono raccontare Anche le porte si lasciavano aperte, e se ti trovavi a passare di la, l’odore che usciva era assai.

Le donne di una volta anche nella cucina rispettavano le tradizioni specialmente la domenica, preparavano il tegame per mandarla al fornaio.

Quando passava il ragazzo con la bicicletta e i tegami su una tavola In testa per andarle a consegnare, alle case delle persone lasciava un odore per la via.

Le donne di una volta sapevano pensare a tutto anche a riempire le credenze e da un anno all’altro, ringraziando Cristo e la provvidenza che con il mangiare nessuno restava senza.

La salsa, le melanzane, i carciofi, la pisticchie (peperoni tagliati a pezzettini) e i pomodori sott’olio non mancavano mai.
Ai giovani d’oggi queste cose si possono raccontare, che ai tempi andati, stava si la povertà, ma stava la dignità.

Pén de chiàzze, te le frìche e nàn te sàzzie“  di Palmiotto Angela

Protagonista di questa poesia è il pane: l’autore ne descrive minuziosamente le fasi della preparazione e lo designa “principe della tavola” in quanto da colazione a cena è l’elemento sempre presente sulla tavola.

“Pane di piazza, ne mangi tanto e non sei sazio”

 

Avantieri, a mezzogiorno
come solitamente accade tutti i giorni
stavamo riuniti a tavola
Io, mia madre e il mio bambino,
che voleva saper da sua nonna
che piatti tipici mangiava quando anche lei era piccolina.

 

“Figlio mio…” gli rispose la nonna,
“…ai miei tempi, si mangiava solo pane con la cipolla!

 

Di sera, quando non c’era niente di cui cibarsi
potevi bagnare del pane nella cialléddè!

 

La cialléddè si preparava in un piatto pieno d’acqua,
con del pomodoro, dei caroselli, l’origano,
e condita con un filo d’olio e un pizzico di sale.
Nessuno affermava, come oggigiorno, che il pane fa male!

 

Allora, il pane non si comprava
si preparava in casa e lo mangiavamo tutti!

 

Mia madre, già dalla sera precedente, preparava la massa con il lievito e la stendeva sulla spianatoia, la ripartiva in dei panetti.

 

Poi, attraverso il coltello,
la incideva con un segno di croce,
infine la copriva con una coperta.

 

Dopo due ore, nel frattempo che la massa era lievitata,
mia madre doveva alzarsi alle tre del mattino,
e gli dava una forma particolare
e sarebbe stata infornata da Michele il fornaio.

 

Il pane non mancava mai in tavola,
aveva il ruolo del prezzemolo…

 

A colazione?
Un tozzo di pane nel latte
ti sentivi sazio.

 

Come spuntino? Pane scondito,
ed era più gustoso
che farcito di una fetta di prosciutto.

 

E di domenica?
Non appena io e i miei fratelli sentivamo l’odore del ragù
che nostra madre stava cucinando.
Subito avvertivamo il desiderio
di inzuppare un bel pezzo di pane nel sugo
e sapevamo di certo quanto era buono!

 

Nostra madre, afferrandosi il grembiule
e molto adirata
ci rincorreva con il matterello fra le mani

gridandoci contro
ci diceva:
“se non vi allontanerete dalla pentola
prenderò un bastone
e vi picchierò!”

 

Ah nipote mio, ai miei tempi,
si preparava tutto in casa
e i cibi erano gustosi,
non si buttava via nulla…

 

pensa che quando il pane s’induriva
lo bagnavamo con un po’ d’acqua
per farlo ammorbidire e in questo modo lo rendevamo commestibile.

 

Non come oggi
che nel caso in cui dovesse cadere un po’ di pane
non lo raccogliereste di certo.

 

Bastava solo che ci soffiassimo su
e senza essere troppo schizzinosi, lo mangiavamo perché lo consideravamo pulito.

 

Perché come cita il proverbio:
“pane con l’occhio (ben lievitato),
formaggio senz’occhio (senza buchi)
e il vino con una lacrima all’occhio”.

 


profùme de volte!“  di Picciariello Giuseppe

Considerevole l’excursus fatto dall’autore che elenca una serie di ricordi sensoriali legati a particolari momenti e personaggi della sua adolescenza.


“I profumi di una volta”

Mi ricordo quando ero bambino
e andavo alla scuola elementare
tenevo un compagno
che si chiamava Pasqualino Buonocore e ora vi dico perché
mi ricordo ancora.
Pasqualino abitava su via Marina
nella casa aveva anche la stalla
con un traino e un cavallo.
Il padre teneva in un deposito
i sacchi di pistazze
che ora si chiamano carrube
e quelle dava al cavallo
che se le mangiava come fossero taralli!
Beh signori miei, l’odore delle pistazze
si sentiva da dietro a Porto
fino in mezzo alla piazza!
E perciò la gente li denominava
quelli di pistazze!
Mi ricordo che ad agosto
si riunivano le famiglie
per fare la salsa e i pezzetti di pomodoro;
faceva caldo e si sentiva la canicchia
e quindi si lavorava dal pomeriggio fino a tarda ora.
E si sentiva forte l’odore
anzi, il profumo del pomodoro
che era una prelibatezza
che entrava dal naso
e arrivava dritto al cuore!
Ora per fare presto usano per cucinare
la passata Cirio o Mutti.
Ma andate via, che fanno schifo
e sono proprio disgustose e brutte!
Alla festa patronale
io andavo al corteo storico
e quelli della Pro Loco
ci davano la birra dal sindacato Fiom in piazza
e un panino dalla salumeria Generoso;
io me lo prendevo sempre
con mortadella, provolone e pistecchia che l’odore si sentiva per tutto il paese vecchio!
Il giorno della festa della Madonna
mamma faceva la pasta al forno
e le braciole di cavallo
che il profumo mi arrivava in gola
e mi portava in cielo
fino a trovare la Madonna con tutti i santi!
Poi al tempo
della raccolta delle coratine
gli agricoltori andavano in campagna
le raccoglievano con le retine
e le portavano ai frantoi
l’odore si sentiva nel paese
di notte e di giorno
fino a quando non finivano
di macinare tutte le olive!
Al tempo della ricorrenza dei defunti
portavamo portavo i fiori al cimitero
e il profumo dei crisantemi
mi faceva venire un nodo in gola
perché li stava seppellito mio padre
e una sorella bella è piccolina
che si chiamava Rosellina.
A Giovinazzo i dolci dei defunti
si chiamano Sassanelle
sono buone e pure belle
ma quelle migliori sono quelle al cioccolato!
E per fortuna alla pasticceria Giotti
le fanno ancora buone
come erano una volta!
Poi a Natale andavamo a trovare i parenti
e la nonna teneva il bracere
e quando mangiavamo i mandarini
buttavamo le bucce nella carbonella
e si sentiva un profumo delizioso:
e proprio allora mi sembrava che fosse Natale
che di tutte è la festa più bella.
….
Ah quante cose oggi sono cambiate: oggi i bambini mangiano le merendine confezionate
ma prima quando tenevamo la pancia vuota
ci mangiavamo la focaccia di Ùelino
che profumava… e metteva sostanza! Bè, ai tempi di oggi
non si sentono più tanti sapori
e non c’è più il vero sentimento
dell’amore:
sono proprio “tempi cattivi”
come diceva Giovanni
un vecchio pescatore di 90 anni!
E che possiamo farci?
-Nulla, ma proprio nulla, purtroppo!
Possiamo solamente ricordare
noi che siamo grandi di età
quei bei tempi andati
che i soldi erano pochi ma le persone camminavano tutti con la schiena dritta! Ora abbiamo le
tasche piene di soldi giriamo con fuoristrada e moto
ma non facciamo più la salsa
e non esistono più quei sapori.
Dicono che oggi c’è il benessere
ma io dico che questo
è un tempo senza sapore,
perché non teniamo più
i veri sentimenti
dentro al nostro cuore.


L’addèure e le guste de quand iaive uagnaune“ di Piscitelli Luigi Daniele

L’autore rievoca gli odori e i profumi che aleggiavano per le strade del paese che era solito percorrere in bicicletta quando era ragazzo. Toccante il ricordo del nonno che con grande fatica raccoglieva le mandorle con cui venivano preparati i dolci natalizi.

ODORI E GUSTI DI QUANDO ERO RAGAZZO

Io non so perché il tempo fugge,
Io non so se è il vento a portarselo via….
Come il profumo della parmiggiana
a casa di mia madre alle 9 di mattina.
Ogni domenica dovevo andare a messa,
che fossero involtini o lasagne la routine era sempre la stessa:
mia madre che mi diceva di far presto nel prepararmi mentre io ero intento a bagnare il pane nel sugo.
Quel sugo si’ era cucinato cosi per tante ore
che io di far colazione in quel modo non vedevo l’ora.
Il ragù per esempio aveva un colore così scuro
che la carne al suo interno aveva cambiato colore e consistenza.
Con la mia bici giravo per tutto il paese…
ma in verità mi sembrava di non essere mai uscito di casa.
Perché passavo davanti al fruttivendolo e sentivo l’odore delle cime di rapa,
passavo dai vari garage l’odore forte dell’uva nella preparazione del vino, passavo vicino ai panifìci l’odore del pane caldo e della focaccia,
fino ad arrivare a bere l’acqua alla fontana…con il forte odore degli alberi delle carrube vicini.
Ma il profumo che più mi colpiva nella sua bontà…
era quello dei sasanelli a casa di mia nonna.
O quando preparava quelle maledette cartellate
che ti sporcavi mani, bocca ed erano duri come le pietre.
Che dire delle mandorle? Fantastice.. .cosa non si preparava: torroni, calzoncelli, moschettoni.. .chi più ne ha più ne metta.
Quel profumo di mandorle inebriava i vestiti e la pelle di mio nonno,
che si era affaticato non poco per raccoglierle.
A novembre per tutto Giovinazzo si sentiva l’odore dell’olio ed io con i miei amici al frantoio sociale a giocare come i pazzi.
Poi andavamo nella campagna vicina a fare la pipì…
e l’odore dell’olio finiva e si sentiva quello dei vari escrementi.
Io non so perché il tempo fugge, io non so se è il vento a portarselo via….
Soltanto una cosa io vi posso sottolineare:
gli odori e i gusti di una volta non ci nono più, oppure sono “freddi”.


“M’arrcord” di Trafficante Aurelia

L’autore, pur non essendo giovinazzese di nascita, rievoca i profumi e gli odori di una volta associandoli ai diversi luoghi che frequentava da piccola: la fragranza del cibo proveniente dalla casa della zia, l’odore del bucato sciolinato e quello del mare reso più intenso dalle reti stese ad asciugare al sole.

Mi ricordo….

E’ vero! Non sono di Giovinazzo

Dalla montagna venni, ormai quasi sessant’anni fa,

Al paese di mia madre

Che, col cuore, non se n’era andata mai.

Per le scuole superiori La sorte mi portò qui:

Il liceo “Spinelli” e poi l’Università.

E poi dopo di me veniva mio fratello

Con Don Saverio e il professor De Santis

Anche lui si sistemò qua.

Il mio paese mi è rimasto nel cuore:

Aria fine, acqua e vino buono Ma a Giovinazzo c’era il mare E…più libertà.

Ma io venivo già qui piccola piccola A casa di mia zia, zia Rosaria, la sorella di mia madre, La casa della piazza

Al palazzo con le colonne e la scala grande

E quando entravi nelle stanze

Sentivi odore di cera e ….di Pino silvestre Vidal

E dalla parte di dietro, dalla cucina La stradina che portava al porto Portava odore di mare e…felicità

Perchè io piccola mi rintanavo

nella dispensa

E m’inebriavo tra l’odore di mare

E delle serte di pomodori appesi

E quanto tempo trascorrevo lì dentro,

In piedi, per giunta, a sentire

Il rumore del mare e le grida dei pescatori

Che si preparavano per andare la notte a mare!

E quando andavo a casa di zia ANGELA Sotto l’arco della piazza

Profumo di caffè e odore di vaniglia del bar Amoia Mi dicevano che, sì, stavo proprio a GIOVINAZZO.

E vuoi mettere poi l’odore di focaccia

E di maccheroni al forno

Che il ragazzo del fornaio portava su una tavola

Che sembrava avvitata in testa….

Sentivi l’odore e ….sapevi

Che cosa mangiava la signora appresso.

Mi ricordo ancora il bucato

L’odore della cenere e del sapone di Marsiglia

E nelle lenzuola

Profumo di sole e di pulito.

Senza lavatrice e asciugatrice

I panni erano profumati e bianchi

E il lino e il cotone

La facevano da padrone

E quando si piegavano le lenzuola:

Che festa per i bambini!

Gioco fisso: bimbalò a pancia sotto.

Sapete com’è?! Non c’erano tablet e televisione.

Natale, Pasqua, Carnevale si portavano dietro calzoncelli, scarcelle e frittelle

E l’odore, ancor più del sapore,

Benediva la festa e la consacrazione.

Ma la cosa che più ti prendeva

Era, al lungomare, l’odore

Che veniva dalle reti in fila

Che le mogli dei marinai, sopra ai treppiedi.

Rammendavano mentre asciugavano al sole.

E’ un mondo che va scomparendo Troppo di corsa ci muoviamo oggi.

Abbiamo perso pure la memoria di odori antichi

Ma certe volte basta un soffio

Per farti affacciare a un passato che più non tornerà.

E’vero, non sono di Giovinazzo,

Ma che volete,

La mia vita e la mia anima.

Su questo mare,

Su questo scoglio stanno.

 


(le opere, le scansioni e i testi delle poesie sono proprietà dei rispettivi autori e concessi per la pubblicazione all’associazione Touring Juvenatium. E’ vietata la copia e la riproduzione se non con mensione dell’autore)

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